Trascrizione puntata con Marco Bini

11 novembre 2013 at 10:15

Benvenuti, sono Veronica Tinnirello e questo è Il Rubino, una trasmissione dedicata alla nuova poesia italiana. Oggi parleremo di e con Marco Bini, del suo libro Conoscenza del vento e degli inediti più recenti. Ascolteremo i brani selezionati da Marco: Wasted degli Angus Mc Og e Hitch di Mara.

Come già anticipato oggi sarà nostro ospite Marco Bini, nato nel 1984 a Vignola in provincia di Modena. Pubblica Conoscenza del vento con Ladolfi editore nel 2011 (vincitore del Premio Giusti, Premio Beppe Manfredi, e finalista Premio Camaiore e Premio Penne). Collabora con l’organizzazione di Poesia festival in provincia di Modena.

 

Marco legge un testo tratto da Conoscenza del vento

 

Non ti chiedo un rimborso in denaro

per il disturbo, solo quel briciolo di tempo

mi occorre che adoperi la sera

tra la doccia e le lenzuola per tastare

il polso alla tua vita inondato

dalla luce dello schermo, un apostolo.

Ti chiedo questa cosa: riuscirai

a non farti prendere dal panico,

intendo alla prospettiva delle cose

che domani tiene in serbo per noi?

Non sentirti tuo più in là del pianerottolo,

rientrare nel personaggio, affiancare

come sempre il cucchiaio e la forchetta,

raccogliere i tuoi avanzi e ricomporli dopo cena.

Ritmo, fegato, pazienza: questo non ci manca.

Potremmo farne a meno, noi come pellerossa

carponi sulle traversine, se il minimo sussulto

non ci allarmasse nel battere dell’ordinario?

Se non fossimo sempre pronti a farci un altro goccio.

Se non ci ficcassimo in bocca spazzolino

e lima, per lavarli, i denti, e affilarli.

 

Veronica: Ciao Marco, benvenuto.

Marco: Ciao, grazie d’avermi invitato.

Veronica: Come scrivi nella poesia appena letta, tratta dal tuo primo libro Conoscenza del vento: riuscirai a non farti prendere dal panico, intendo alla prospettiva delle cose che domani tiene in serbo per noi? Mi sembra un’interrogazione attualissima. Riusciremo a non farci prendere dal panico per il domani?

Marco: Chiaramente mi auguro di sì. Penso che il chiedersi del domani sia un’interrogazione certo attuale però è anche una domanda che ci siamo sempre fatti, da quando esiste l’umanità. Oggi forse è diventata più stringente perché si parla molto di futuro soprattutto in relazione alle condizioni delle generazioni più giovani. In questa poesia che ho letto ho provato un po’ a mettere dentro questa atmosfera, queste domande, queste ansie. Ovviamente non è semplice racchiudere in una sola poesia tutto lo spirito di un tempo. Si prova ad andare per immagini, ad azzeccare qualche idea. Questo insomma è quello che può fare un poeta. Non si tratta di raccontare tutto il mondo e tutto quanto ci riguarda in una sola poesia. Si tratta di trovare quell’idea, quell’immagine, quella parola che accende e che dona un senso diverso alle cose.

 

 Marco legge un testo tratto da Conoscenza del vento

 

Perché non sia la nebbia un infarto a mezz’aria delle cose,

che tutto già pesa da sgocciolare fino a terra.

Non sia spazio, spazio ancora, superflua distanza

cosparsa tra i viventi. Non sbandiamo, teniamoci d’occhio.

 

Non c’è luce che non passi dal fondo del tunnel

prima di investire la pupilla all’altro capo

col respiro che si allarga rinnovandoci la pelle.

 

Viene l’ora di portare le ossa a crepitare contro il fuoco;

quando il sole scende al primo piano e la casa

è una meraviglia di arancione per la retina

vorremmo liberarci dai contorni nella stretta,

lasciare lo zaino a terra e correre alle braccia che consolino

queste spalle troppo forti ancora da non servire a niente.

 

Veronica: Abbiamo ascoltato Wasted degli Angus Mc Og, band modenese composta da Antonio Tavoni, Daniele Rossi e Lucio Pedrazzi. Cosa ti lega al brano che hai portato?

Marco: Angus Mc Og è un gruppo che conosco da tempo, li ho seguiti più o meno dagli inizi, vengono dalla mia città. Quindi c’è un pezzo di percorso in comune, ci sono stati scambi di idee fra di noi, si è parlato anche spesso di poesia, di libri. Questo pezzo in particolare Wasted parla di ciò che si perde, ma anche del perdersi più in generale. È un pezzo dai toni soft che poi si accende, diventa cattivo, più secco per poi tornare a una sorta di pace. È uno stato d’animo che credo colga molti di noi, un pezzo che in qualche modo ci racconta.

Veronica: Nei tuoi testi ci sono dei riferimenti ai grandi eventi: per esempio il prima e il dopo l’11 settembre, la cortina di ferro, le due Germanie, Teutoburgo. Per una voce così attenta al presente come la tua, che scrive del Costo del lavoro, del pendolare che definisci un Cristo quotidiano tra casa e calvario, come entra in relazione la tua poesia con la Storia?

Marco: La Storia è la quarta dimensione di ogni luogo. A me piace molto scrivere a partire dai luoghi anche se spesso non li nomino direttamente. Spesso utilizzo toponimi che sono in realtà simbolici, che sono interessanti per ciò a cui rimandano. Il tempo ovviamente è la dimensione ulteriore delle cose. A volte la storia di un luogo apre voragini abissali, dà la vertigine e ti dà la sensazione di ciò che vi è avvenuto, degli uomini e delle donne che si sono succeduti. Credo che sia il tempo il completamento di una poesia. I fatti storici sono ricchissimi di suggestioni. Io ne ho utilizzati alcuni, a volte indicandoli direttamente, a volte invece li ho utilizzati per il loro potere simbolico. E poi ci sono invece quei fatti storici che appartengono al nostro tempo come l’11 settembre con i quali ci si prova un po’ a confrontare. Non sempre se ne esce bene perché confrontarsi con la stretta attualità a volte fa uscire con le ossa rotte un poeta, uno scrittore in genrale. Altre volte si riescono a cogliere suggestioni che sembrano funzionare. Poi sarà il tempo a dire se quella raccolta è stata efficace.

 

 Marco legge un testo inedito

 

Solo agli strilli rimane un senso di verticale

da basso risalire; qui non si misurano in acri

ma in lembi da strappare alla piena che risale

i magri gli avanzati i salvabili resti.

 

Dopo un’entrata assassina il guaito accarezza

soltanto la punta dell’erba; qui non il cerotto

ma la crosta rimargina al circostante

vetrocielo: siamo fatti per le storie da ascoltare

 

se è vero che dormono le armi in fondo ai pozzi

e gli striscioni fatti a brani stanno bene con il nodo

sopra la camicia. Ci sono rughe nette lungo il mento

e poche tenui parole; qui si ride ormai di tutto.

 

Veronica:Mi sognavo da grande casco e scafandro, astronauta, recitano alcuni tuoi versi. Come un’astronauta che si volti a guardare la terra afferrandone tutta la sua vastità, il suo passato, il suo presente, il suo futuro….il tuo è uno sguardo consapevole. Nel primo atlante, ricevuto in dono da tuo padre, capisti il senso di “provvisorio”. Tutto cambia, si muove. E’ questa la conoscenza del vento di cui parla questa tua prima raccolta?

Marco: Sì, sicuramente il tempo è la figura per eccellenza del cambiamento, del movimento delle cose e quindi conoscere il vento significa anche questo. Significa anche però annusare l’aria, mettere la testa fuori dalla tana. Come ogni primo libro è anche un po’ un libro di formazione, una specie di personale romanzo di formazione anche se non c’è un personaggio “io” costantemente in scena. C’è una prospettiva un po’ più collettiva, un “noi” che si allarga un po’ a ciò che mi circonda e a chi mi circonda. E poi Conoscenza del vento è un titolo che mi ha dato modo di fare un omaggio anche a due poeti che amo molto che sono Giovanni Giudici, poeta italiano morto un paio d’anni fa che tradusse l’americano Robert Frost in un libro uscito qualche anno fa che si intitolava Conoscenza della notte. Insomma questa risonanza mi ha dato modo di omaggiare due autori che in qualche modo di sono incontrati, che mi piacciono entrambi e si rincontrano forse in questo mio titolo.

Veronica: Si respira una ventata anglo-americana nei tuoi testi, il tentativo di preservare le proprie italiane radici, citi Roversi in esergo, ma al tempo stesso come un albero che cresce è presente la necessità di farsi spazio e proiettarsi fuori dai nostri confini, che sono poi anche i nostri temi, i nostri lessici. In quest’ultima edizione di Poesia Festival nella provincia di Modena è stato ospite, tra gli altri, Tony Harrison, che so essere un tuo “mentore” ideale. Citi Larkin in una tua poesia. Cosa va cercando il tuo linguaggio?

Marco: Amo molto tantissimi poeti italiani e moltissimi autori stranieri. Certo sono due anime. Come lettore ho queste due anime ed è difficile farle convivere poi nella scrittura anche perché è complicato essere programmatici e decidere che un certo poeta magari straniero con il suo modo di usare la lingua possa entrare nel tuo fare poesia. Di solito la poesia tende a fuggire dagli schematismi, dai programmi, dai progetti. La mente si accende su un’idea, su una parola. Si pensa di poterne intuire la traiettoria però in realtà quasi mai va a finire come ci si immagina. Certo però trovare una propria lingua necessita di un confronto il più ampio possibile con tante voci che sono tanti immaginari, tante capacità di piegare la lingua alle proprie esigenze, tanti lessici. Ed è proprio da questo grande calderone, quasi come un minestrone che può uscire la propria voce e che si può tentare di levarsi quelle scorie del poetese, comunque della lingua che si supporrebbe poetica, che sono in realtà ciò che impedisce di scrivere una buona poesia.

Marco legge un testo inedito

 

GRAN TORINO

Pelle e vernice e la storia del loro amore

di domenica mattina, un fiato appena d’aria

si infila e riflette sulla scocca il torace.

 

Un doppio opaco come perso in una nebbia.

 

Si fatica ad essere fieri quando esce il peggio

a Okinawa, in Corea o a MyLai nel Vietnam,

poi gli anni ingranano la quinta e sei ancora

un uomo, la sua casa, un vecchio ferro per difenderla

ed uno per correre nel sole e fermarsi all’imbrunire

per un ultimo bicchiere all’ora di chiusura.

 

Vivere da reduce è aspettare sotto il portico la sera

e preservare questo francobollo di avamposto:

la rimessa, un giro di grondaia, sul confine la bandiera.

Veronica: Questa era Hutch di Mara, una cantante ravennate che insieme a Francesco Giampaoli ha debutatto con Dots, disco uscito per le edizioni Spigolo/Brutture Moderne. Come mai questo brano?

Marco: Ho avuto modo di ascoltare recentemente Mara e mi è piaciuto molto perché ha questo modo di scrivere canzoni, di fare musica, estremamente delicato, soft e poi perché è una voce femminile. Prima ho proposto una band con voce maschile. Oggi ci sono tantissimi gruppi di grande valore e non conta più la differenza di sesso. Di lei mi piace molto la leggerezza, la levità, la pulizia che però non è patinata. È una cantante secondo me dalle grandi doti sia compositive che vocali, che consiglio a tutti di conoscere.

Veronica: Prima del brano musicale hai letto Gran Torino, un testo ancora per poco inedito che entrerà a far parte di una piccola pubblicazione stampata da Anonima Impressori di Bologna. Qualche anticipazione?

Marco: Anonima Impressori è una realtà nata a Bologna di recente ma che ha delle radici abbastanza lontane nel tempo. Si tratta di un gruppo di grafici che ha deciso da un paio d’anni forse qualcosa di più di mettersi a recuperare caratteri tipografici e quindi rilevare il materiale di tipografia in chiusura o in disuso e di recuperare l’arte della stampa tipografica. Allora visto che ci si conosce da tempo abbiamo pensato, perché non fare qualcosa assieme o questo gruppo di poesie che ho scritto a partire da film come quella di prima che è Gran Torino, un film di e con Clint Eastwood. Stamperemo quindi un libricino con copertina stampata in tipografia, con carte particolari. C’è tutto un lavoro che quelli di Anonima Impressori faranno e ne faremo una piccola pubblicazione artigianale in poche copie da distribuire agli amici e agli interessati.

Marco legge un inedito

 

Rimane un’impronta di corda sulle mani

mentre il sale rende la pelle tutta una scintilla

i denti si pareggiano e la forza spinge come

un fulmine giù per la gola.

L’occhio è inchiodato

al crinale e salire sul serio è un darsela

a gambe fino a un punto alto da sfuggire

a un patto, uno qualsiasi che copra la vista

come al cinema il testone del posto davanti.

Qua sopra a distanza d’aria non ti prenderanno mai.

 

È fuga solo se ti lasciano ma se tu per primo alzi

la polvere si tratta di salvarsi e udire lo scatto

secco di un congegno tra gli stecchi e poi tornare

splendido non via terra ma come in un nuoto

in una brezza da far torcere i colli, che spettacolo

sarebbe.

 

Veronica: E’ arrivato il momento di salutarci. Volevo ricardare il libro di Marco Bini Conoscenza del vento edito da Ladolfi Editore e che per riascoltare la puntata e leggerne la trascrizione potete consultare il sito www.ilrubino.itscrivere ainfo@ilrubino.it.

Grazie Marco

Marco: Grazie a te Veronica

Veronica: Grazie a Simonluca Laitempergher per tutto il supporto tecnico e un grazie a voi per averci ascoltati.