Trascrizione puntata con Valerio Grutt

19 ottobre 2013 at 20:52

Benvenuti, sono Veronica Tinnirello e questo è IL RUBINO, una trasmissione dedicata alla nuova poesia italiana. Oggi parleremo di e con Valerio Grutt, della sua opera prima Una città chiamata le sei di mattina e della recente raccolta Qualcuno dica buonanotte. A scolteremo i brani scelti da Valerio: Meraviglioso di Domenico Modugno e Non farti cadere le braccia di Edoardo Bennato

Come già anticipato oggi incontriamo Valerio Grutt, nato a Napoli nel 1983. Pubblica il libro Una città chiamata le sei di mattina con le Edizioni della Meridiana, nel 2009 e Qualcuno dica buonanotte con Alla chiara fonte editore nel 2013 Alcune sue poesie sono pubblicate nell’antologia Subway.Poeti italiani underground (Il saggiatore, 2006) ed in varie riviste. E’ sceneggiatore e regista di cortometraggi. Collabora con il Centro di Poesia Contemporanea ed è fondatore dell’associazione Heket.

 

 Valerio legge un testo da Una città chiamata le sei di mattina

 

Farei l’alba e le linee del cielo

con i segni lasciati dal cuscino

sul tuo volto appena sveglia, meraviglia

che ti togli dal sonno e vieni come gli uccelli

di giorno, la tua risata è chiamare il bene

per nome, alzi le reti dei fiori con lo sguardo.

Il fuoco e i confini, le sere gialle hanno la brezza

del tuo respiro, io ti sento esistere nel vento

che piega gli ombrelli, nel petto aperto

contro la notte che si abbassa addosso.

Voglio essere con te l’onda che s’alza

e si fa nuvola, fare come il polline chiaro

sui campi e la luce che libera gli angoli.

 

Veronica: Ciao Valerio, benvenuto.

Valerio: Ciao

Veronica: Una città chiamata le sei di mattina è il tuo primo libro. Subito colpiscono due elementi : il mattino, quello del primo risveglio, che ospita stupore ed epifanie e la tua città, Napoli. In tuo testo hai scritto: Un giorno tornerai a Ischia lucente /
isola sola, lontana mille anni dal mare. Tu te ne sei partito a vent’anni. Cosa c’è in te e nella tua raccolta di questi luoghi?

Valerio: Ma, diciamo che inevitabilmente Napoli fa fortemente parte della mia vita e della mia poesia e in generale di tutto quello che faccio. Sono andato via a vent’anni…ma forse anche da quando sono andato via Napoli ha cominciato ad esistere in maniera ancora più forte nelle cose che scrivo. È una città che credo sia davvero piena, aldilà del cliché, ancora di tante cose da dire. Una città che nel bene e nel male tiene dentro una sensazione molto forte di verità.

  

Valerio legge un testo da Una città chiamata le sei di mattina

 

Un giorno tornerai a Ischia lucente

isola sola, lontana mille anni dal mare.

L’abbronzatura all’oro degli anni

che brilla di notte al gelato d’agosto

 

e scale di case dall’aria salata

che increspa i capelli, e salite e discese dagli occhi.

A lui chiederai i capelli a cavatappi,

e di pettinarti giornate strappate all’abbraccio

 

della madre larga e del padre fascista

che ti compra le scarpe per camminare in campagna

e t’adotta alla zia che ti lascia una corda

per attaccare il sole a una sedia sul balcone.

 

Mamma che sfogli settimane enigmistiche,

e t’accendi al divano per le corde che stridono

dell’ascensore che mi porta al quarto piano.

Figlia di un marito scorpione e parrucchiere,

 

che giocava nella vita da angelo, tirato giù da un albero

a bere dagli spigoli le cose felici, tendeva una mano

al tuo sonno cattivo e tre figli, ti baciava sereno

come se non esistesse la pioggia ed il buio.

 

Tornerà la gioia del primo giradischi

la scoperta di cose naufragate nell’ombra.

Le ali aperte dei figli tuffati, alla buona pazienza

del cuore, di piazze, di auto al casello,

 

del respiro, vacanze, di sere finite

alla noia beata dell’essere soli.

Verrò a mangiare melanzane a funghetti,

all’alba del tuo sorriso preso a bellezza dei salti di uccelli.

 

Veronica: Nel tuo cortometraggio Ci vediamo dopo (ovvero cosa succede quando si muore) due vecchi psicopompi napoletani in stile anni ’50 guardando l’abbraccio tra l’uomo che hanno accompagnato nel regno dei morti, che è un parco assolato e la consorte ritrovata, si dicono in dialetto napoletano: E’ bella la vita / E pure la morte. Anche nel tuo libro tracci questo momento, momento che compare spesso, talvolta come un ritorno, un ricongiungimento e sì, c’è il buio, caricato alla nuca e sparato, come cita un tuo verso, la morte che è un vento scuro, ma c’è anche luce e profumo, o comunque il tentativo di un bagliore…

Valerio: Mah, sai, l’elemento della morte è un elemento che mi sono ritrovato addosso lavorando e scrivendo. Mi piace pensare alla morte come una parte reale della vita e quindi mai come una cosa che finisce ma come un passaggio, cioè come un nuovo inizio più che una fine. Poi la poesia che citi tratta dal libro è venuta fuori in pochi minuti ma c’ho messo più o meno dieci anni a tirarla davvero fuori perché parte da un’avvenimento molto importante della mia vita.

 

Valerio legge un testo da Una città chiamata le sei di mattina

 

a mio padre che sarà tra forbici e stelle

 

Quel giorno avevano chiuso agosto

con i limoni sugli occhi

 

non sapevo ancora niente

degli aperitivi e dei film di Burton

 

giocavo a pallone

con la maglia del portiere

 

al centro del grande zabaione

dove Napoli galleggia

 

nella sala d’attesa

tolsero l’acqua al pesce rosso

 

il dottor temporale disse di chiudere le porte rimaste socchiuse

ci caricarono il buio alla nuca e spararono

 

era un elefante con le gambe secche

e non ci volle molto a cadere

 

era l’ultima Via Santa Lucia

che se ne andava timida dal golfo

 

hanno visto alzarsi in volo uno stormo

dalla piazza fredda del letto di mia madre

 

hanno tolto l’uomo

hanno sradicato le sue mani dalle mie

 

quando tornerà sarà davanti agli occhi di Antonio

e tra le braccia di Maria come il figlio che non ha

 

quando tornerà non sarà buio il corridoio

si siederà a tavola e dirà: “perché avete aspettato tanto…

 

potevate cominciare”.

 

Veronica: Abbiamo appena ascoltato Meraviglioso di Domenico Modugno. Cosa ti lega al brano musicale che hai portato?

Valerio: Amo modugno. Per me è il più grande cantante del mondo insieme a Frank Sinatra. E niente…Meraviglioso è una canzone che veramente nei momenti anche più bui che possono capitare è una canzone che ascolti e ti apre il cuore, ti dà la capacità di guardare un po’ oltre anche al piccolo problema che ti sta capitando in quel momento della tua vita. Canzone bellissima, spesso l’ho reputata la mia canzone preferita.

Veronica: Qualcuno ti ha definito poeta pop. Nel tuo lavoro sono molto radicati i dettagli del contemporaneo. Acuto narratore lirico dei dettagli, ti definisce infatti Davide Rondoni nella sua prefazione al tuo libro: icone mediatiche, spot, marchi. Insomma ci sono gli elementi di una memoria visiva tipica degli anni ’80-’90. Come per esempio le copertine di Cioè, la maglia mars di Maradona, il giocattolo he-man. Io avevo chiamato un pesce rosso Michael J. Fox perché ne ero innamorata. La tua Beatrice invece è Winona Rider…

Valerio: Sì, Winona Rider…sono stato follemente innamorato di Winona. Le ho anche spedito il libro però poi mi è tornato indietro, non perché non l’ha voluto, perché era sbagliato l’indirizzo, era molto difficile trovarlo. Questi elementi qui…sì poeta pop io non amo particolarmente le definizioni, che sembra una frase fatta, però insomma un po’ è vero. Sai, tutti quegli elementi lì che fanno della mia poesia, ma in particolare di Una città chiamata le sei di mattina come libro, che si possono appunto definire pop, io non l’ho fatto apposta a scriverli, cioè nel senso è una cosa che fa parte della mia vita quindi mi sembra normale che vadano a finire anche nella mia scrittura. Io amo pensare al poeta, o comunque a me, come un’antenna che coglie i segnali. Poi più l’antenna è pulita, è bella, è nuova eccetera più il segnale viene trasmesso meglio e naturalmente il segnale passa attraverso quest’antenna, quindi le esperienze di quest’antenna. Alla fine gli argomenti come hai detto anche tu prima sono sempre gli stessi, cioè sono l’amore, la morte, però se ne può parlare in tanti modi e con tanti elementi che siano gli uccellini, la montagna, il mare o che sia il Cioè, Ritorno al futuro o Star Wars.

 

Valerio legge un testo tratto da Una città chiamata le sei di mattina

 

se tu fossi stata innamorata di me

avrei trovato aperto un supermercato deserto

 

in cima alle stelle pieno di cioccolato

con gli scaffali lunghi del tempo rimasto sulle autostrade

 

e tu seduta nel carrello con un sorriso d’albero

avresti detto: voglio questo e voglio quello!

 

e invece patetico come l’uomo farò la fila con gli altri

e triste la cassiera mi darà il resto nel giorno grigio di un K.O.

 

 

Veronica: Quali sono stati i tuoi riferimenti poetici più forti?

Valerio: Diciamo che in partenza quasi nessuno. Un dono che mi fece mio zio Il porto sepolto di Ungaretti, quello è stato molto forte, verso i quattordici anni. Poi ho sempre amato i poeti che alcuni definiscono semplici, Prévert, Neruda, quelli che piacciono alle ragazzine, che li trovi su internet, su facebook come citazioni; però li ho sempre amati molto anche per questa capacità di arrivare a molti, non per una questione naturalmente di ampiezza di pubblico ma proprio per una questione di comunicazione profonda, di apertura di cuore, insomma. Poi, molti dei miei diciamo maestri tra virgolette sono stati i cantautori, ma non solo cantautori tipo De André, Tenco, Ciampi, non solo quelli, anche proprio le canzonette da radio, i jingle. Fa più parte quello della mia poesia che la grande poesia italiana del novecento…poi naturalmente sì come ho amato Ungaretti, ho amato Caproni…anche se alla base di tutti questi c’è la scoperta reale che è quella della Commedia di Dante. Aldilà dell’esperienza scolastica quando poi ho avuto la possibilità in un’età un pochino più matura di leggerla completamente, capirla, viverla più che capirla…quello ha cambiato non solo la mia poesia ma anche il mio modo di guardare la vita.

Veronica: Questo era Edoardo Bennato con Non farti cadere le braccia. Bennato è stato un dei cantautori di riferimento?

Valerio: Bè in realtà no, non lo è stato. Però questa canzone come dicevo anche per Modugno, veramente non mi ha fatto cadere le braccia in alcuni periodi della mia vita. È una canzone che l’ho ascoltata aldilà della musica, del testo. Ha proprio un’energia, cioè un’energia sua forte, si vede che è vera, che è sincera. Poi all’interno c’è quest’immagine della madre, che per me è un’immagine fondamentale, infatti il mio libro è anche dedicato a mia madre, ci sono alcune poesie dedicate a lei. C’è quest’immagine della madre, del bambino che sale le scale, di lui adulto che torna bambino, tutti elementi per me molto forti. E appunto questa canzone in alcuni momenti mi ha dato una spinta, una forza veramente importante.

 

Valerio legge un testo da Una città chiamata le sei di mattina

 

La verità alla fine del male

fulmina le lampadine.

Urla forte come un angelo

pieno di sonno

in mezzo a un temporale.

 

Veronica: Tu collabori con il centro di poesia contemporanea di Bologna. Come è nato questo incontro e quali sono le sue attività?

Valerio: Ma…il Centro…è nato in maniera davvero casuale. Non sapevo dell’esistenza del Centro di poesia fino a quando, dovendo fare il servizio civile, sulla domanda avevo scritto, io vent’enne scapestrato, poeta, per gioco. Quando poi il signor burocrate mi chiamò perché mi avevano preso all’Università di Bologna per fare il servizio civile: Valerio Grutt, Centro di poesia contemporanea…faccio, come Centro di poesia contemporanea? Esiste un centro di poesia contemporanea? Mi sembrava una cosa surreale. E poi da lì insomma sono arrivato al centro, ho conosciuto Davide Rondoni, Francesca Serragnoli. All’inizio un po’ come obiettore davo una mano in generale, poi è andato avanti per anni il rapporto proprio perché il Centro in tutti questi anni, ormai esiste da più o meno quattordici anni, adesso non mi ricordo di preciso, ha dato la possibilità ai più giovani di entrare in contatto con poeti affermati, maestri. Ha dato la possibilità quindi di conoscere l’ambiente editoriale della poesia attraverso laboratori, festival, incontri. Questa è una cosa che condivido. Una delle ultime esperienze è l’atelier delle arti,  una settimana per i ragazzi delle scuole superiori e l’incontro con artisti, musicisti, scrittori, poeti, dove aldilà della lezione in sé che tiene l’artista c’è la possibilità di mangiare assieme, bere una birra. I ragazzi hanno la possibilità di far leggere al poeta le proprie cose, di far vedere i propri disegni all’artista e quindi di creare uno scambio che va un po’ aldilà della questione didattica, della cattedra, ma crea un avvicinimento reale all’esperienza di ogni artista.

Veronica: Hai fondato inoltre l’associazione Heket insieme a Matteo Totaro Moretti…

Valerio: Heket praticamente è la dea rana, la dea egizia protettrice delle nascite, la dea ostetrica. Heket è nata un po’ appunto per delle nascite di poesia, aldilà di altre attività che si faranno.  Avrà anche una piccola collana editoriale, ma piccola davvero, nel senso libricini tascabili piccolissimi pubblicati in 99 esemplari e basta, cuciti a mano uno per uno con copertine fatte a mano uno per uno. La prima uscita è Ivonne Mussoni, una ragazza di diciotto-diciannove anni di Rimini, molto brava secondo me. Sono solo docici poesie. È nato anche un po’ per dare alla poesia un’idea di preziosità, ma anche di segretezza, una cosa da custodire, piccola, da portare con sé, in tasca. È una cosa che non prevede nessuna crescita particolare, nessun margine di guadagno, assolutamente e proprio perché volevamo fare una cosa bella, cioè l’esigenza di fare una cosa di bellezza.

Veronica: Parliamo ora della tua ultima raccolta Qualcuno dica buonanotte edita quest’anno da alla chiara fonte editore e che ti vede anche autore del disegno di copertina…

Valerio: Sì, disegnino. Sì, ma non è proprio una raccolta, è una piccola plaquette con dodici inediti. Mauro Valsangiacomo che è appunto l’editore in realtà è artista e fa questi libretti, ne fa in duecento copie, cento li tiene lui a Lugano, cento li dà al poeta che ha scelto. È una cosa molto bella secondo me. E diciamo queste poesie sono un po’ come una fase di passaggio, cioè come la registrazione di una fase di passaggio. È un libretto secondo me molto intimo. Il titolo Qualcuno dica buonanotte chiama appunto quest’intimità. È un libretto da leggere la sera prima di andare a dormire. Sono poesie la maggior parte romane, scritte in un periodo che ho vissuto a Roma e questa cosa si può notare o no ma io sento molto forte la presenza di Roma. Adesso in realtà sto lavorando a degli inediti che sono anche abbastanza diversi da questo libretto qui. Volevo chiudere, segnare un periodo e anche una fase di scrittura che in qualche modo è stata fondamentale.

 

Valerio legge un testo da Qualcuno dica buonanotte

 

Qualcuno dica buonanotte

ai ragazzi che parlano sottovoce

al buio, mentre il mondo li capovolge.

Qualcuno dica buonanotte

a chi non ti saluta per paura

che tu non ne abbia voglia.

A chi si gira e rigira per la rabbia,

per la guerra col pensiero,

per il nero o per la pioggia.

 

Buonanotte, si sentano scaldare

i campi di ferro arrugginito,

i palazzi senza balconi, il fiume

soffiato, la vedova e il suo Gesù.

Qualcuno dica buonanotte

e spinga il sipario su questo giorno

fuori dal binario, sulla spiaggia

dove sono caduti gli uccelli.

Qualcuno sussurri, fedele

all’orecchio dei cani che dolce

sarà la notte, il riposo, il dopo.

 

Veronica: E’ arrivato il momento di salutarci. Ricordiamo i due libri di Valerio Grutt Una città chiamata le sei di mattina (edizioni La Meridiana) e Qualcuno dica buonanotte (alla chiara fonte edizione). Potete seguire Valerio su www.valeriogrutt.org e le attività della sua associazione su www.heket.it Per quanto riguarda invece Il Rubino potete ascoltare il podcast della puntata e leggerne la trascrizione su www.ilrubino.it e scrivere a info@ilrubino.itGrazie Valerio

Valerio: Grazie Veronica.

Veronica: Grazie a Simonluca Laitempergher per tutta l’assistenza tecnica e un grazie a voi per averci ascoltati.

 

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